venerdì 28 luglio 2017

Evoluzione ed involuzione darwiniana

Erwin Schrödinger - fisico, tra i pionieri della meccanica quantistica, autore dell’“equazione di Schrödinger” che gli valse il Nobel, ma anche appassionato studioso di filosofia ed acuto esploratore di svariati campi del sapere umano - scriveva, nel settembre 1950:
“... ora io credo che la meccanizzazione e l’istupidimento progressivo della maggior parte dei procedimenti manifatturieri porti con sé il grave pericolo d’una generale degenerazione del nostro organo dell’intelligenza. Quanto più si livellano le prospettive di vita del lavoratore intelligente e di quello puramente passivo, in seguito alla svalutazione delle abilità individuali e alla diffusione del sistema tedioso e deprimente della lavorazione a catena, tanto più diventano superflui un buon cervello, una mano abile è un occhio sicuro. Anzi sarà favorito l’uomo di scarsa intelligenza, che trova naturalmente più facile sottomettersi alla routine; gli sarà probabilmente più facile prosperare, formarsi una famiglia e procreare dei figli. Il risultato potrebbe anche essere una selezione negativa rispetto alle doti di capacità e di abilità.”1

Insomma, il meccanismo dell’evoluzione darwiniana (selezione del “più adatto”, non necessariamente del “migliore”) potrebbe anche operare al contrario, nel senso dell’involuzione, della perdita di alcune delle qualità che caratterizzano una determinata specie.
Pensiamo al cane, che notoriamente discende dal lupo, animale nobile, forte, aggressivo, perfettamente adattato alla competizione con gli altri abitanti della savana.

Proprio in virtù di queste sue caratteristiche il lupo ha rappresentato una costante minaccia per l’uomo. E quando l’uomo ha assunto il controllo assoluto dell’ambiente lo ha praticamente sterminato: oggi la popolazione di lupi è ridottissima, a rischio di estinzione.
Alcuni lupi, però, nella lunga storia evolutiva di questo animale, hanno sviluppato caratteristiche genetiche che li rendevano meno inclini ad aggredire l’uomo e più propensi ad attendere, ai margini dei suoi insediamenti, di potersi cibare degli avanzi che le comunità umane primitive producevano. Con il tempo, questi lupi più miti hanno imparato a convivere con i nostri antenati, accettando ed imparando le regole di comportamento che l’animale dominante imponeva loro.

Il risultato è che la domesticazione da parte dell’uomo ha rappresentato la discriminante decisiva nell’evoluzione del lupo: sono sopravvissuti e si sono riprodotti con successo quegli esemplari che avevano un’indole più mansueta, che li rendeva inclini a farsi addomesticare, trasformandoli dalla costante minaccia che il lupo rappresentava per l’uomo nel “migliore amico”, o meglio nel “servitore più fedele”, se pensiamo all’impiego dei cani nella pastorizia, nella caccia e nella protezione degli insediamenti, fin dalla nostra preistoria.

Questo, però, ha finito per trasformare il pericoloso, forte e scattante lupo “selvaggio” nella molteplice varietà di rassicuranti razze di cagnolini domestici che oggi tengono compagnia agli umani, nei loro salotti.

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1 E. Schrödinger - The future of understanding - L’immagine del mondo - Bollati Boringhieri, 1963 

domenica 5 marzo 2017

Un tempo c'erano i sarti

Un tempo c'erano i sarti, che facevano i vestiti.

Anche nelle sartorie più grandi e strutturate c'erano degli operai che passavano la giornata a tagliare e cucire.
La sera gli operai tornavano a casa e, a volte, potevano raccontare soddisfatti: "oggi ho cucito un bell'abito, mi è venuto proprio bene".
Certo, quando poi gli operai si accorgevano che l'abito veniva venduto a mille Euro ed a loro ne arrivavano solo dieci, tendevano a lamentarsi.
Per il padrone della sartoria era un bel problema se un buon operaio, addestrato e sperimentato per anni, che ormai aveva imparato tutti i segreti del mestiere, andava a lavorare per una sartoria concorrente, disposta a pagarlo un po' di più.
Allora bisognava pagare scatti d'anzianità, offrire premi e gratifiche, alzare di tanto in tanto i salari.
Questo faceva salire i prezzi degli abiti e riduceva il profitto dell'imprenditore.
Un buon vestito costava caro e chi aveva affrontato la spesa per acquistarlo lo teneva da conto e lo faceva durare anni.
Se ne vendevano pochi, insomma, per cui i padroni delle sartorie non guadagnavano abbastanza.
Non andava bene.

Economisti, giuslavoristi e società di consulenza si sono messi al lavoro ed hanno corretto la situazione.
Oggi un abito italiano viene prelavorato in Bangladesh, poi rifinito in Vietnam, infine portato in Italia, dove qualcuno attacca i bottoni e cuce le etichette.
L'omino che attacca i bottoni non sa, esattamente, come siano stati fatti gli abiti che gli passano davanti; non comprende quale sia il suo contributo alla realizzazione del prodotto finito. Sa solo che gli arrivano in continuazione abiti con le asole già pronte ed è bene che lui si sbrighi ad attaccare i bottoni, per non fermare la linea di produzione.
La sera torna a casa un po' frustrato, ma è meglio non lamentarsi: l'azienda ci metterebbe poco a trovare qualcun altro per attaccare bottoni; e lui, poi, dove andrebbe a lavorare? Non ha imparato nient'altro, è solo un operaio che attacca i bottoni...
Oltre che frustrato, è sempre più stanco: ogni giorno i bottoni da attaccare aumentano. Anche perché il padrone della sartoria ha fatto in modo di assumere tanti operai per preparare le asole, motivandoli e stimolandomi continuamente con premi di produzione ed incentivi, mentre ha ridotto il numero di quelli che attaccano i bottoni, per tenerli sempre sotto pressione.

Certo, ogni tanto il nostro operaio si accorge che qualche asola è stata fatta male: "ecco, i soliti difetti di produzione; questi addetti alle asole lavorano sempre di fretta, per prendere il loro premio di produzione, senza nessuna cura per la qualità del lavoro che fanno".
Lui, orgoglioso della sua precisione nell'attaccare i bottoni, capisce che basterebbe spostare di qualche millimetro il bottone per rimediare al difetto e farlo combaciare con l'asola. Ci pensa un attimo, ma poi decide che non è il caso. Attacca il bottone con ancor più scrupolo e precisione del solito, esattamente nel punto in cui è prescritto che debba essere attaccato. Poi contempla, per un momento, il lavoro finito: quel bottone, perfettamente attaccato, non entrerà mai nell'asola frettolosamente predisposta da qualche suo collega, immeritatamente privilegiato. Un piccolo sorriso si dipinge sul suo viso. Questa sera tornerà a casa un po' meno frustrato del solito.

Oggi troviamo, nei negozi di abbigliamento, tutti i vestiti che vogliamo, a prezzi sempre più bassi. Possiamo cambiarli spesso, comprandone di nuovi, non c'è bisogno di averne particolare cura.
Peccato solo che, quasi sempre, quei maledetti bottoni non entrano nelle asole...